Proprio in quella parrocchia per la quale
ha realizzato nel 2001 la Via Crucis in bronzo (Vedi Dalla Roccia all’uomo in un percorso di dolore, La Rivista della Chiesa Cefaludense, n. 4 – Aprile 2002), ritorna oggi in qualità di artista, e non solo come attivo fedele, Sebastiano Catania, con la collocazione di una custodia eucaristica di grande pregio scultoreo e simbolico.
Per poterne parlare con una certa precisione, senza attribuirmi competenze sull’argomento (competenze che non ho), vorrei partire dalle parole del parroco, don Domenico Messina, tratte dall’opuscolo realizzato in occasione della consacrazione dell’opera, il 31 maggio 2018: “Circa il luogo della custodia eucaristica, la Chiesa dispone che sia adatto alla preghiera personale e all’adorazione, in un luogo della chiesa molto visibile e debitamente ornato […] Nella chiesa-edificio la custodia eucaristica sia unica, inamovibile, solida, non trasparente, inviolabile”.
Visitando la chiesa di S. Agata, questi elementi sono ben evidenti: la custodia è ben visibile, in luogo ornato e reso prezioso anche dalla bellezza dell’arte, con la presenza di una garbata fonte di luce e un inginocchiatoio che invita al raccoglimento e alla preghiera.
Ma è soffermandosi sui dettagli compositivi della custodia eucaristica che il fedele rivolto alla preghiera e all’adorazione (ma anche il semplice visitatore) può cogliere la pienezza del messaggio evangelico e la ricchezza polisemica dei suoi contenuti. È evidente che la tematica è quella che tradizionalmente viene indicata come la moltiplicazione dei pani e dei pesci, ma ciò che veramente dovrebbe spingere alla riflessione è proprio il significato di quella moltiplicazione, tema più che mai di attualità, in un mondo che proprio in questi giorni dà piuttosto segnali di divisione e non di condivisione.
La moltiplicazione, in realtà, è la condivisione di quello che si ha, è rendere bastevole per tanti ciò che sembra appena sufficiente per pochi. Il paradosso è che quando “la gran folla” si fu saziata, secondo il racconto di Giovanni (6, 12-14), furono raccolti gli avanzi (i pezzi avanzati) e con questi vennero riempiti dodici canestri.
Analizzando l’opera dal basso verso l’alto, si può osservare la base a tronco di piramide quadrangolare, realizzata in terracotta. Perché proprio la terracotta? E qui mi viene in aiuto l’autore, il quale esplicita una similitudine: come l’argilla è formata da terra e acqua e dopo la lavorazione deve andare in forno per il completamento della sua lavorazione, allo stesso modo il pane, fatto di farina e acqua, dopo l’impasto va in forno per poter essere poi consumato.
Gli elementi dominanti della facciata frontale sono il pane e, con maggiore evidenza, i pesci, entrambi frutto della laboriosità e della fatica dell’uomo. Come il pane deriva dal lavoro dell’uomo sulla terra, i pesci sono il risultato del lavoro dell’uomo sul mare: pane e pesci, appunto, secondo il racconto di tutti gli evangelisti.
Nelle quattro facciate della base (o nelle quattro “pagine”, come ama chiamarle l’artista) il racconto viene contestualizzato nel nostro ambiente, anzi, più in particolare, nel luogo della stessa parrocchia: si tratta della Calura di Cefalù, con i suoi scogli e la sua cala, con i suoi pericoli e i suoi ripari, con le sue mareggiate e il suo abbraccio salvifico. Gli scogli sono geometrizzati e stilizzati, i pesci sono quelli del nostro mare e i diversi triangoli presenti rinviano alla Sicilia: e non può mancare una piccola sfera, elemento caro all’autore, presente in quasi tutte le sue opere, come una firma.
Dalla base in terracotta si sviluppa una spirale in bronzo (come il resto dell’opera), una voluta che per certi versi richiama l’interno di una conchiglia, che viene dal mare e il mare porta con sé, come in un’onda che cresce e si eleva. Nella parte posteriore la spirale nasce con dodici gradini (numero dal grande valore simbolico) e nel suo sviluppo si trova la scritta dedicatoria: “Per ricordare Giuseppe Matassa e tutti morti in Cristo la famiglia Meli-Matassa mi fece per mano di Sebastiano Catania, 30 maggio 2018”.
La spirale, a circa metà del suo percorso, si estende e crea un piano, un luogo di riposo e di riparo, quasi una sosta nella fatica dell’ascesa, come una protezione dalle insidie del mare.
Dal piano la spirale riprende il suo sviluppo verso l’alto e diventa braccio e mano. Afferma don Domenico: “È la forza di questo braccio che regge tutto; esso tiene con forza e amore la cesta dove i discepoli raccolgono e custodiscono i ‘pezzi avanzati’ dalla moltiplicazione eucaristica della celebrazione del Sacramento”. E l’artista Catania afferma che la mano acquista anche un suo personale valore simbolico: è un ringraziamento per avere la possibilità di plasmare la materia e darle forma proprio con le sue mani.
La mano regge la cesta (la vera custodia eucaristica) che è stata realizzata dall’artista secondo il metodo tradizionale dei nostri avi, attraverso l’intreccio di una trama e di un ordito, dando quella rotondità che richiama un grembo materno che custodisce la vita. La cesta termina con una sorta di treccia che evoca gli incroci delle dita di mani giunte in preghiera.
Infine, nella parte anteriore sempre visibile all’assemblea dei fedeli, la cesta è riempita di pezzi di pane (veri pezzi di pane durante la lavorazione dell’opera): è il pane spezzato per la moltitudine di persone che si è avvicinata a Gesù, risultato della moltiplicazione-condivisione. Al centro è collocato lo sportello circolare, come circolare è l’ostia eucaristica, dove è raffigurato il volto di Cristo che, pur attraverso tecniche artistiche molto lontane tra di loro, richiama ed evoca il Cristo Pantocratore della nostra Cattedrale.
Si tratta, certamente, di un’opera complessa, frutto di un lavoro molto impegnativo, sia per la resa iconografica, sia per le tecniche di lavorazione utilizzate (terracotta e fusione bronzea a cera persa), ma anche per la volontà dello scultore Sebastiano Catania di adottare, durante il processo di lavorazione, i materiali e gli elementi veri, costruendo egli stesso la cesta con metodi tradizionali e utilizzando reali pezzi di pane per riempirla. La resa finale è senz’altro positiva e la collocazione è ideale, perché ne consente l’osservazione da tutte le prospettive e nella pienezza del tutto tondo.